lunedì 22 giugno 2009

Benedetto XVI: i primi quattro anni di pontificato



Sul numero di giugno di "Aggiornamenti Sociali" è uscito un editoriale di Padre Bartolomeo Sorge S.J. dal titolo "Benedetto XVI: il senso di un pontificato". A mio avviso si tratta di una analisi equilibrata e non superficiale, che vale la pena far conoscere. Per motivi di spazio ne "copio e incollo" di seguito qualche stralcio, ma invito fortemente alla lettura integrale dell'articolo nel sito della interessante rivista dei padri gesuiti (http://www.aggiornamentisociali.it/), che tratta di tematiche sociali spiegate in modo chiaro, approfondito e con rigore scientifico.

Il 19 aprile 2009 Benedetto XVI ha compiuto i suoi primi quattro anni di pontificato. Non sono molti, ma consentono già di cogliere la nuova direzione che il Papa sta imprimendo al cammino della Chiesa. La percezione è che siamo dinanzi a una svolta difficile. Lo dimostra il clima che oggi si respira, certamente diverso da quello fiducioso dei primi anni del postconcilio. (…) A conferma che queste difficoltà sono reali è venuta la lettera all'episcopato mondiale, scritta da Benedetto XVI il 10 marzo 2009 circa la remissione della scomunica che dal 1988 gravava sui quattro vescovi scismatici della Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata nel 1970 da monsignor Marcel François Lefebvre. (…) Il Papa si dice sorpreso e rammaricato che il suo «gesto discreto di misericordia» nei confronti dei lefebvriani abbia potuto suscitare «all'interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata»; fino al punto che molti vescovi «si sono sentiti perplessi [...]. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento»(…) Ecco perché è importante riprendere in mano la lettera pontificia ai vescovi cattolici sul caso dei lefebvriani. Essa, infatti, aiuta a comprendere con maggior chiarezza il metodo, le priorità e lo stile del pontificato di Benedetto XVI.

(…)

Benedetto XVI, in questi primi quattro anni di pontificato, ha mostrato largamente di considerare come priorità assoluta del suo servizio apostolico quella di riportare la fede della Chiesa alla purezza delle origini. Da qui l'insistenza con cui continua a riproporre l'essenza del messaggio cristiano alla luce della Parola di Dio e dell'insegnamento dei Padri e a riformulare le ragioni della fede in forma adeguata alla cultura moderna. Quale sia lo schema logico del suo programma pastorale traspare chiaramente da tutti i suoi discorsi e, in particolare, dalle due encicliche: Deus caritas est (2005) e Spe salvi (2007). La remissione della scomunica ai lefebvriani gli offre ora l'occasione per esporre con maggiore chiarezza le priorità del suo pontificato, per rispondere all'obiezione di fondo che gli è stata mossa: era così urgente e necessaria questa decisione? Era veramente una priorità? «Certamente - risponde Benedetto XVI - ci sono cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva» («Lettera», p. 594). Passa, quindi, a esporre in forma quasi sistematica qual è questa linea.

La prima priorità fra tutte è la fede; questa priorità - dice - non l'ha scelta lui, ma l'ha ricevuta dal Signore. Per rispondere adeguatamente alle sfide del nostro tempo, occorre anzitutto mostrare che non c'è contraddizione, ma complementarità, tra fede e ragione, tra speranza cristiana e speranze umane. «La prima priorità per il Successore di Pietro - spiega - è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu [...] conferma i tuoi fratelli" (Luca 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: "Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pietro 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (cfr Giovanni 13, 1) - in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo».

La seconda priorità che papa Ratzinger si è prefissa è l'unità dei credenti, la quale è strettamente collegata al primato della fede in Dio: «La loro [dei credenti] discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani - per l'ecumenismo - è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce - è questo il dialogo interreligioso» (ivi). L'importanza data dal Papa all'unità di tutti i credenti spiega anche il senso profondo del recente viaggio in Medio Oriente, in cui Benedetto XVI non ha mancato di sottolineare che «il dialogo trilaterale [con gli ebrei e con l'Islam] deve andare avanti, è importantissimo per la pace e anche per vivere bene ciascuno la propria religione» («Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa», 8 maggio 2009, in ). E nel discorso del 9 maggio alla moschea al-Hussein bin-Talal di Amman (Giordania) ha sostenuto che «l'adesione genuina alla religione - lungi dal restringere le nostre menti - amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l'infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, e arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello. Una simile comprensione della ragione, che spinge continuamente la mente umana oltre se stessa nella ricerca dell'Assoluto, pone una sfida: contiene un senso sia di speranza sia di prudenza. Insieme, Cristiani e Musulmani sono sospinti a cercare tutto ciò che è giusto e retto» (in ).

Infine, il Papa ritorna spesso con forza sulla terza priorità del suo pontificato - il primato dell'Amore -, che in un certo senso riassume le altre due: «Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimonianza dell'amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l'odio e l'inimicizia - è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell'Enciclica Deus caritas est» («Lettera», p. 595).
Dunque, è in virtù di queste priorità che Benedetto XVI ha deciso di rimettere la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Lo dice egli stesso: «Se dunque l'impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l'amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie», una delle quali è chiaramente la riconciliazione con la Fraternità San Pio X. «Era ed è veramente sbagliato - chiede, perciò, il Papa con un lieve accento polemico - andare anche in questo caso incontro al fratello che "ha qualche cosa contro di te" (cfr Matteo 5, 23-24) e cercare la riconciliazione?».

La lettera di Benedetto XVI ai vescovi cattolici costituisce infine un esempio importante di stile evangelico, tanto più significativo quanto più rigida e severa viene giudicata di solito la figura dell'ex Prefetto della Congregazione della Fede. Il «gesto discreto di misericordia» con cui il Papa ha aperto la strada al ravvedimento dei vescovi lefebvriani non è affatto contro, ma in pieno accordo con lo «spirito» del Concilio. Giovanni XXIII l'aveva indicato nel discorso d'apertura, l'11 ottobre 1962, con parole rimaste famose: la Chiesa - affermò - sempre si è opposta agli errori e spesso li ha condannati con la massima severità, «ora, tuttavia, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità». Rimettendo la scomunica ai vescovi lefebvriani, Benedetto XVI ha agito in coerenza con questo «spirito»; e lo ha fatto coscientemente, distinguendo «il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l'istituzione» (ivi, p. 594). In altre parole:l'amore e la misericordia verso la persona superano i confini della legge ecclesiastica e perfino quelli dell'ambito dottrinale.

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4 commenti:

Anonimo ha detto...

Senza dubbio mi sembra che questo articolo cerchi di mettere in luce con una certa chiarezza le linee guida che Benedetto XVI si è proposto.
Ma in realtà non sempre i fatti corrispondono alle "intenzioni". Basti pensare al subbuglio scoppiato dopo il discorso di Regensburg (in sè ben congenato, ma assolutamente poco diplomatico), per non parlare delle rotture che si sono avute col mondo ebraico, dopo la decisione di ripristinare la vecchia liturgia del verdiì santo con la nota preghiera per la conversione degli ebrei, che qui in Italia ha congelato le realzioni che da anni erano state intraprese... Insomma, sono un po' scettica. Tanto più se si considera il ripristino, nelle celebrazioni vaticane, di numerosi paramenti liturgici ante-concilio: occorrerebbe allora chiedersi se sia più importante riconciliare la fraternità Pio X, e riportare la Chiesa, almeno sotto alcuni aspetti liturgici, ma non solo, verso le loro posizioni, piuttosto che mantenere aperto e fruttuoso il dialogo interreligioso (che ormai è stato fatto a pezzi, purtroppo!).

Blog della Preghiera di Taizé di Ravenna ha detto...

In un certo senso capisco le tue perplessità. Papa Benedetto non incarna certo il papa della rottura con le tradizioni ed è meno carismatico rispetto a papa Giovanni Paolo. Ha il gusto per le celebrazioni di tipo tradizionale, ama la musica sacra, il latino, gli abiti papali preconciliari, ecc.., cose che per la sensibilità di oggi richiamano il "superato". La teologia che esprime è rispettosa del magistero più consolidato ed esprime una critica forte al "relativismo etico", in cui tutti noi in fondo siamo cresciuti. Sembra essere il cavallo di battaglia della parte più conservatrice della Chiesa. Forse mi sbaglio ma credo che tutto ciò rappresenti più un fatto esteriore (anche molto amplificato dai mass media) che di sostanza. A volte le polemiche che sono sorte sono state più dovute alla poca capacità di comunicare che ha, che per uno scarso rispetto per le posizioni "avverse". Innanzitutto mi sembra una persona sensibile, intelligente e dai modi molto pacati. Indubbiamente è culturalmente e teologicamente molto preparata ed è in grado di fare delle analisi ed elaborare dei progetti coerenti. La cosa che mi ha colpito di questo articolo è proprio che sembra portare avanti un progetto i cui capisaldi sono molto condivisibili: penso al dialogo su Dio a partire dal terreno della ragione, al dialogo ecumenico (in particolare con la Chiesa Ortodossa) ed anche ad i recenti interventi sull’accoglienza degli immigrati. Nell’articolo si insiste molto sul fatto che i tempi sono difficili per il messaggio evangelico: si consideri per esempio che negli anni 60 la Chiesa si apriva al dialogo con una realtà che dal punto di vista culturale la sollecitava sui temi della giustizia, della pace dell’uguaglianza, cioè su valori importanti mentre ora la proposta della fede viene fatta in un clima di complessiva deriva individualistica, egoistica ed irrazionalistica. Detto questo anche per la mia sensibilità preferisco la figura di papa Giovanni o di papa Giovanni Paolo a quella di papa Benedetto, però ho fiducia nella sua onestà di intenzioni e che attraverso di lui lo Spirito stia operando in modo poco appariscente in questi “tempi apostolici” (come dice l’articolo nella sua versione integrale).

Anonimo ha detto...

Forse non è stato colto al meglio il quid delle perplessità espresse.
Non intendevo certamente istituire confronti e preferenze sui nostri pontefici e neanche sottointendere incapacità di analisi.
Le intenzioni sembrano ottime e condivisibili, come hai già accennato (dialogo su Dio a partire dal terreno della ragione, diaogo con la Chiesa Ortodossa ed anche i recenti interventi sull’accoglienza degli immigrati).
Forse talvolta nell'insieme può però essere discutibile la scelta di cosa sacrificare.
Inoltre non sembra che le polemiche sorte attorno ai suoi interventi siano esclusivamente dovute ad amplificazione mediatica (che sicuramente c'è, ed è anche talvolta vergognosa!)o alla sua scarsa capacità carismatica. Anzi, alcune sue prese di posizione sono molto apprezzabili e certamente danno fastidio alle posizioni "avverse".
Talvolta sembra però mancare una certa diplomazia che comunque è auspicabile vista la responsabilità implicata da un pontificato.

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie